Pier Paolo un pensatore per il nostro tempo
Intervista con David Grieco
Poche persone conoscono Pasolini bene come David Grieco che fu uno dei primi amici e allievi che purtroppo videro il maestro morto. Fuori dalle speculazioni con alcuni fatti David Grieco raffinato regista ci racconta la vicenda umana estetica e personale di uno dei più grandi registi di sempre
D Mi puoi raccontare come mai il personaggio di Pino Pelosi che fa come Franco Citti in "Accattone" il bagno nel Tevere è così simpatico, ingenuo e tutto sommato positivo? Sai se il vero Pelosi ha visto il film?
D. Ho trovato straordinaria la scelta di rappresentare l'attività di Pasolini nel cinema solo come montatore. Mi puoi raccontare come è nata? Mi puoi dire anche come mai non hai voluto presentare né i membri dell'entourage cinematografico e non hai usato nel film alcuni dei suoi attori preferiti come Ninetto Davoli o Ines Pellegrini?
R. Ines Pellegrini vive a Los Angeles da trent'anni, e Ninetto Davoli aveva accettato di fare il "Pasolini" di Abel Ferrara. Io invece ho deciso di realizzare "La macchinazione" procedendo a fari spenti, senza parlarne troppo, affinché nessuno potesse raccontare in giro cosa stessi facendo e cercasse di fermarmi.
Ho raccontato Pasolini in moviola semplicemente perché aveva finito di girare il film, e il furto della pellicola mentre lo stava montando è l'innesco della Macchinazione.
D. Mi puoi raccontare le difficoltà che hai incontrato nella stesura di una sceneggiatura che è linguisticamente perfetta e mi puoi parlare dell'uso che hai fatto del dialetto romanesco?
R. La sceneggiatura del film ce l'avevo dentro da 40 anni, ma non lo sapevo. Dopo aver lavorato molto alla scaletta con il mio sceneggiatore Guido Bulla, che purtroppo è scomparso nell'ottobre del 2015, ho scritto il copione in appena 13 giorni.
Il dialetto romanesco dell'epoca non è stato un problema. Era il mio idioma preferito quando ero ragazzino e vivevo molto per la strada, non potevo averlo dimenticato.
D. Che tipo di attrezzatura tecnica hai utilizzato? Mi puoi raccontare come hai girato l'ultima scena? Come hai scelto i tuoi collaboratori tecnici e come è andata la post produzione?
R. Il film l'ho girato in digitale perché in Italia la pellicola non si sviluppa e non si stampa più. La camera che ho utilizzato principalmente è l'Alexa della Arriflex, che è di gran lunga quella più equilibrata. Per i dettagli invece ho usato la Phantom della Panasonic, che è la più adatta a lavorare in modalità macro. Ma ho usato persino la mia GoPro per le scene della colluttazione all'Idroscalo.
I miei collaboratori li conosco tutti da molti anni. Non so che intendi per ultima scena. L'Idroscalo l'ho ricostruito esattamente com'era in una cava vicino Roma ed è stato come lavorare in un teatro di posa, cioè in santa pace. Se alludi al finalissimo con le trivelle, è un banalissimo effetto speciale di quelli che si fanno oggi. Ma per le trivelle ho preso a modello i tank dello sbarco in Normandia, ormai pieni di ruggine, che siamo andati a fotografare nel museo dove si trovano a Dunkerque.
D. Per me il film racconta le relazioni di Pasolini con il resto del mondo. Ma come nel tuo precedente film "Evilenko" mi sembra che tu riesca anche a descrivere il cambiamento della società italiana partendo dal personaggio di un emarginato o meglio, parlando di Pasolini, di un "autoemarginato". Sei d'accordo? È stata questa la tua scelta?
R. Mi piace l'idea che tu definisca Pasolini un "autoemarginato". Non ci avevo mai pensato, ma in effetti è così. Pasolini vedeva un mondo, quello in cui noi viviamo oggi, che nessun altro riusciva a vedere, a capire, a presagire. Se scrivo un film, sento sempre il bisogno di inquadrare e cercare di indagare la realtà sociale che fa da sfondo. In questo caso, però, non ho dovuto fare niente di speciale. Mi è bastato seguire le orme di Pasolini, perché ha fatto tutto lui.
D. Nel film ci sono tre personaggi chiave secondo me: Steimetz, l'uomo dei servizi seduto in panchina con la nipotina, e l'onorevole cocainomane. Sono, a mio avviso, gli ingranaggi di quella che tu chiami "la macchinazione". Come li hai creati?
R. Sono tre personaggi puramente allusivi, tre oscuri protagonisti di una società purtroppo basata sull'intrigo e sulla corruzione. Molti hanno visto nell'onorevole cocainomane Andreotti. Ovviamente non è lui, nemmeno gli somiglia, ma nessuno sfugge alla tentazione di dare un nome a questo personaggio. Ne ho sentiti tanti, quello che ricorre sempre è il nome di Andreotti e ovviamente non è un caso, dal momento che Andreotti era stato ribattezzato Belzebu', cioè il diavolo.
D. A me sono piaciuti molto sia il personaggio di Antonio Pinna che il personaggio di Sergio, che costituiscono una vera e propria coppia. Come li hai costruiti?
R. Libero De Rienzo (Pinna) e Matteo Taranto (Sergio) sono due attori completamente diversi. Il primo è piccolino, il secondo è un gigante. Libero è tutto istinto, Matteo invece ha bisogno di costruire a tavolino, pezzo per pezzo, il personaggio che interpreta. In più, i due si detestano cordialmente. Tutto questo fa di loro, secondo me, una gran bella coppia sullo schermo.
D. Come mai hai deciso di utilizzare la musica dei Pink Floyd?
R. "Atom Heart Mother" dei Pink Floyd è il disco che ha rivoluzionato i gusti musicali della mia generazione. Quando ho scritto una lettera ai Pink Floyd per chiedergli di poterne fare la colonna sonora della "Macchinazione" tutti mi prendevano in giro e pensavano che non mi avrebbero neppure risposto. Invece me l'hanno offerta con entusiasmo e hanno insistito con i loro agenti e avvocati perché spendessimo poco. La loro risposta è stata "Per Pasolini, questo ed altro".
D. Il personaggio forse più delicato e più completo è quello interpretato da Milena Vukotic, che impersona la mamma di Pasolini. Io la trovo un'attrice davvero straordinaria.
R. Milena Vukotic secondo me è oggi la più grande attrice italiana in attività. Ha 80 anni ma sembra una ragazzina. Parla 5 o 6 lingue, è capace di sfumature sconosciute alle attrici di oggi. Ma non sono cose che dico io. La sua carriera parla per lei: Fellini, Bunuel, eccetera.
D. Dove hai girato il film?
R. Il film è stato girato per forza di cose interamente a Roma. Girare a Roma non è più facile come una volta, purtroppo. Ci vogliono permessi, soldi, poliziotti al seguito. È un incubo, aggravato dal fatto che ho girato un film in costume. Le strisce pedonali, i cartelli, le automobili, le facciate dei palazzi, è tutto molto diverso oggi rispetto al 1975. Da questo punto di vista è stata una gran fatica.
D. Come è stato ricevuto il film dalla critica in Italia? Ci sono state anche recensioni negative?
R. Ci sono state recensioni entusiastiche e quasi commoventi, ma anche recensioni negative sempre molto personali contro di me. Mi è accaduto esattamente ciò che accadeva a Pasolini quando usciva un suo film. E anche questo, lo confesso, mi rende un pochino orgoglioso. Sarei stato uno sciocco a sperare che un film così forte su Pasolini potesse piacere a tutti, e infatti non l'ho mai pensato.
D. Ho trovato un po' lungo il dialogo in francese con François Xavier Demaison, ma la visione del futuro che conclude la sequenza mi è piaciuta molto. Come ti è venuta in mente? E inoltre, perdona l'ovvietà della domanda, se Pasolini fosse ancora vivo oggi cosa penserebbe del mondo e del modo in cui viviamo?
R. Pasolini, come ho detto prima, era in grado di presagire allora il mondo in cui noi viviamo adesso. E così, in modo molto semplice e didascalico, ho voluto mostrare il mondo di oggi come un suo presagio.
Pasolini parla ancora del mondo e del modo in cui viviamo oggi. È sufficiente rileggerlo. Ogni volta che lo rileggo rimango sbalordito perché parla sempre di noi, e parla al presente.
D. Come nasce il dialogo tra Pasolini e quel ragazzo che si chiama Francesco sul finire del film?
R. Quel ragazzo che si chiama Francesco è un autentico ragazzo autistico. L'ho incontrato per caso mentre facevo i provini e mi ha ispirato quella scena. Volevo poter dire che la scuola è fondamentale, è importante, e volevo mostrare che Pasolini alle volte sapeva riconoscere di avere torto. Chissà perché, tutti quelli che non lo hanno conosciuto tendono a pensare che si considerasse infallibile. Ma lui non lo pensava affatto. Era un uomo normalissimo, non aveva alcuna arroganza, ma possedeva una sensibilità che non mi è capitato di incontrare in nessun altro.
D. Perché hai rinunciato a descrivere l'aspetto anche mistico della personalità di Pasolini?
R. Il misticismo di Pasolini è difficile da rappresentare, per il semplice fatto che Pasolini non credeva in dio. Il suo misticismo esiste, ma è pagano, è animistico, difficilmente visualizzabile. Il suo modello è l'arte sacra. Ma è un'arte che è sacra in sé, dio risulta sempre assente.
D. Mi puoi raccontare qualcosa su quel regista da strapazzo che fa sostenere il provino a Pelosi? Potrebbe essere il regista di uno di quei film "poliziotteschi" all'italiana?
R. No, i registi dei film "poliziotteschi" all'italiana erano spesso dei professionisti molto rispettabili. Il personaggio che racconto io nel film è un regista per modo di dire. Si tratta di un cialtrone qualsiasi che frequenta il mondo del cinema, al massimo può essere un aiuto regista, ma dei peggiori.
D. Come mai non hai inserito il viaggio di Pasolini in Svezia poco prima della morte?
R. Mi sarebbe costato molto venire a girare alcune scene a Stoccolma. E a Stoccolma con Pasolini, nella realtà, c'era Ninetto Davoli. Se l'avessi fatto, avrei sconfinato nella realtà e avrei perso di vista la storia che stavo raccontando.
D. C'è un film svedese che ti sia parso interessante recentemente?
R. Purtroppo non conosco bene il cinema svedese di questi anni. Sono rimasto a Ingmar Bergman, che resta uno dei miei registi preferiti.
D. Qual è il tuo prossimo progetto?
R. Di progetti ne ho molti, ma oggi è difficilissimo trovare i soldi per fare un film. Fino ad aprile, continuerò ad accompagnare "La macchinazione" in giro per il mondo. Poi vedremo