Un grande autore italiano

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Ho incontrato Leonardo Tonini dopo l'evento "La notte tace", una inziativa congiunta dell'ambasciata italiana e dell'ambasciata svizzera per la settimana della Lingua Italiana nel Mondo, all'Istituto italiano di Cultura C. M. Lerici di Stoccolma.

Ciao, potresti presentarti per un pubblico svedese?

Non è facile presentarsi a un pubblico straniero perché ci sono sempre profonde differenze culturali tra un paese e l’altro, le azioni della vita sono le stesse, ma ogni popolo usa categorie differenti per comprenderle. Gli svedesi appaiono come tolleranti e aperti alle differenze, ma in realtà si pongono come spettatori di tutto ciò che non è svedese, tracciano un confine netto tra loro stessi e il resto del mondo. Sembrano molto più tolleranti di altri, ma è solo perché nel profondo non vengono scalfiti dalle differenze. Un bambino figlio di genitori stranieri, anche se nato in Svezia, godrà di tutti i vantaggi di un bambino svedese, ma verrà per lo più percepito sempre come uno straniero. Noi italiani siamo agli occhi degli svedesi molto più volgari, e lo siamo, ma la nostra storia è fatta di invasioni continue, per millenni, mentre non è così per la Svezia. Ogni popolo che è passato per l’Italia ha lasciato testimonianza di sé, ma non in forma pura, c’è stata una contaminazione molto profonda, Il gotico è uno stile non italiano, ma in Italia è diventato gotico italiano, con caratteristiche proprie diverse da quelle di qualsiasi altro paese. Così è stato per i normanni e per gli arabi e per tutti gli altri visitatori, dopo pochi anni che erano in Italia sono diventati italiani. L’esempio più famoso è l’imperatore Federico II di Svevia che seppure faceva Hohenstaufen di cognome è il fondatore della poesia italiana, ha costruito alcuni dei più bei castelli d’Italia e quando vide la Sicilia trasferì la sua corte a Palermo e ci morì. È una mescolanza anche genetica quella italiana, proprio in Sicilia è facile trovarvi italiani alti e biondi, con gli occhi chiari e tratti tipicamente nordici, insieme ad altri piccoli dalla pelle scura e con naso e occhi tipicamente arabi. Sto parlando di italiani, non di stranieri. Quindi il presentarsi a un pubblico ‘altro’ è sempre complesso, io scrivo poesie, narrativa e teatro, se oggi tu mi intervisti è perché una mia poesia è stata messa in musica dal Maestro Ghisleri e il pezzo è stato presentato in prima assoluta durante la Settimana della Lingua Italiana qui a Stoccolma, grazie all’ambasciata italiana e a quella svizzera.

Come nasce la tua vocazione di scrittore?

Credo da una difficoltà a relazionarmi con il mondo, con gli altri. Da piccolo vivevo nel mio mondo, gli amici venivano a chiamarmi per giocare a calcio e io dicevo loro: “no, grazie”, preferendo rimanere solo con i miei libri. Ho sempre scritto; scrissi un trattato di astronomia alle elementari, ho sempre avuto una passione per la fantascienza che univa il dato scientifico alla storia di fantasia. La poesia è arrivata dopo, alle superiori, quando incontrai, nello studio, altri poeti; scrivevo principalmente testi di canzoni. Il teatro è arrivato per ultimo, quando incominciò ad affascinarmi il rapporto con gli altri, il conflitto, il gioco del potere tra le relazioni.

Hai avuto una qualche particolare influenza?

Io sono un lettore onnivoro, ho letto davvero qualsiasi cosa, senza pregiudizi, e ho letto moltissimo, filosofia, critica letteraria, arte, romanzi, in maniera piuttosto disordinata almeno fino all’Università dove, per esigenze di esami, ho dovuto impormi un po’ di disciplina. Quindi sono sempre influenzato da tutto, ho scritto testi che sono interamente costituiti da citazioni. Ma quello che conta in arte è avere una voce propria, l’arte è la ricerca della propria voce e al contempo di una voce universale. Mi piace procedere per variazioni, leggo qualcosa di Harold Pinter e mi chiedo: cosa succederebbe se avvenisse questo? se entrasse un personaggio così? se cascasse il teatro? mi piace ‘dissacrare’ nel senso di de – sacralizzare un testo, per costruire poi un’altra mitologia. C’è un mio breve pezzo andato in scena la scorsa settimana a Cremona, è un pezzo farsesco, apparentemente assurdo, ma ha l’impianto di una sacra rappresentazione e parla alla fine di dinamiche sociali e del rapporto tra l’opera e la sua fruizione da parte del pubblico.

Quali sono i temi che ami di più trattare nella tua opera?

Sulla mia poesia Giuseppe Cerbino ha detto che in essa “La realtà non ha bisogno di simboli perché così come si presenta è in se stessa “simbolica”; è diventata talmente improbabile che il poeta la lascia così com'è.” In effetti non è la mia una poesia di introspezione, ma tende a descrivere il paesaggio come qualcosa di scandaloso agli occhi del poeta che non lo riconosce più, lo sente come un fatto estraneo perché a essere perduto è “il primato stesso del paesaggio sull’uomo”; è avvenuta una disgregazione, una separazione intima e non più conciliabile. L’uomo non fa più parte della natura, osserva la realtà come un alieno arrivato sulla Terra per la prima volta. La mia poesia è la ricerca di un linguaggio per descrivere questo cambio di paradigma, non bastandomi più il linguaggio nel suo uso comune. Di certo, io concepisco l’arte non come espressione di sé, che oggi è la cosa che va per la maggiore, ma come ricerca di sé. Dice Jodorowsky, non dire quello che sai, ma quello che sospetti. Ha ragione, la ricerca è sempre verso un territorio sconosciuto di cui si fiutano le tracce.

Come vedi la riduzione di opere teatrali al cinema o per la televisione? Hai qualche buon esempio?

Trasformare una opera d’arte in un’altra è sempre un fatto positivo, al di là del risultato. È una rilettura, una interpretazione. Non bisogna però fare l’errore di confrontare. Il Maestro Stefano Ghisleri ha messo in musica una mia poesia, ora anche se il testo è mio, quello è un pezzo di musica lirica e come tale va giudicato. Il testo di partenza è solo un pretesto, ma ora è musica. Ascoltando la prima versione del notturno “La notte tace”, dove era stato usato il mio testo in forma integrale, ho capito subito che c’era del lavoro da fare, ciò che poteva andare bene per la pagina scritta, non era più funzionale con la musica. Ci abbiamo lavorato sopra e il risultato è quello che abbiamo sentito qui a Stoccolma. Ma è musica. Mi viene in mente il romanzo Solaris di Lem, ma potrei fare mille altri esempi. Il film del 1972, di Andrej Tarkovskij, è considerato un capolavoro del cinema pur differenziandosi molto dal libro. Il film di Soderbergh, del 2002, è più aderente al romanzo, ma è da dimenticare. L’arte prima che linguaggio è un sistema di segni, segni verbali in letteratura, segni visivi nel cinema, segni sonori in musica. Da qui deriva che non possiamo paragonare un romanzo come Moby Dick alla trasposizione filmica che ne ha fatto John Huston; la sua è una interpretazione e soprattutto è cinema.

Qual è la situazione per i giovani autori in Italia e in Svizzera?

In Svizzera non so, ma in Italia la situazione è, per usare una espressione tipicamente italiana, tragica ma non seria. In realtà c’è solo un grande pregiudizio nei giovani artisti italiani di oggi, credere che qualcosa gli sia dovuto. Le lamentele che non ci sono soldi, che non ci sono spazi, che la gente è disaffezionata al leggere e alla cultura sono solo in parte vere e sono per lo più una scusa. Ricordo una conferenza del sindaco del mio paese di qualche anno fa. Un gruppo di artisti andò a lamentarsi che a Castiglione non c’erano spazi per gli artisti. Il sindaco sbottò dicendo che c’era la sala civica e molti altri spazi, solo che andavano per la maggior parte del tempo deserti, nessuno le richiedeva. Si scopriva così che i giovani non erano per lo più in grado di capire come richiedere uno spazio o un finanziamento. Certamente poi l’artista si scontra con interessi, con mentalità ristrette e tutta una serie di cose, ma l’arte è fatta apposta per creare dal nulla nuove prospettive. E nuovi spazi dove fino a poco prima pareva non esistessero. Pensiamo ai fratelli Lumière, che spazio infinito hanno inventato. Ogni opera d’arte è un taglio nel caos e il caos si riorganizza intorno a quel taglio. Una poesia, un brano musicale, quando è vera arte, è come un teorema matematico, il mondo non può più farne a meno. Quando decidi di realizzare qualcosa, di tuo o di qualcun altro, il primo vero problema è chi si tira indietro, chi non si fida, chi dice “e io cosa ci guadagno?”, “perché dovrei fare questa fatica?”. Il vero problema nell’arte oggi è la paura di rischiare.
Come pensi che si evolverà la lingua italiana?

Si evolverà come tutte le lingue del mondo, verrà contaminata da altre lingue e verrà storicizzata dagli scrittori e dai poeti. È sempre stato così. Oggi si teme il cambiamento, ma è da idioti. Nel XIV secolo tutti parlavano in volgare e scrivevano in latino perché si riteneva che il volgare non fosse paragonabile per dignità e completezza. Poi è arrivato il signor Dante Alighieri. In Inghilterra ricordo di aver letto un articolo ironico, ma che era comunque un segnale, dove ci si lamentava delle troppe parole italiane nell’inglese moderno. In Italia, c’è chi vorrebbe un ritorno al dialetto, ma questo è un discorso fottutamente idiota. Il dialetto c’è, è codificato, ci sono poesie e libri in dialetto, ma non c’è più il mondo del dialetto. Come dire in dialetto computer o iPhone? c’è stato un tempo in cui l’italiano era la lingua più prestigiosa in Europa, poi è stata la volta del francese e adesso è l’inglese, probabilmente fra 30 anni sarà il cinese, chi lo sa? Quello che forse ci dovrebbe preoccupare è la povertà linguistica, che è povertà di pensiero, ma questo è un altro discorso e forse pure questa questione è strumentalizzata più che reale.

Pensi che internet favorirà la fruizione di giovani autori?

Internet non favorisce la fruizione, ma la produzione. Con Internet è possibile aprire un blog in pochi minuti e pubblicare, e puoi farlo gratis. Il problema è poi trovare chi ti legge. Ci sono strumenti gratuiti per far conoscere le tue iniziative, come i social, ma chi ci mette soldi ha corsie preferenziali. Sono cose note, e allora? Piangiamo e ci lamentiamo o troviamo una soluzione? che cosa vogliamo in realtà? diventare famosi o proseguire il cammino dell’arte? Io dico: tu fai qualcosa di bello, il resto verrà da sé.

I tuoi prossimi progetti?

Make it new, diceva Ezra Pound. Rendi nuovo, trasforma, inizia. Che cosa? il mondo. Come? con quello che sai fare. Sto cercando appoggio per la realizzazione di un film sannixista: “Il vestito aspetta il profumo”, ma il mio primo problema è sempre quello, fai qualcosa di valido! “Tu puzzi” è stato pubblicato per la prima volta nel 2005, è andato in scena solo la settimana scorsa a Cremona per la prima volta, per la regia di Ilaria Spotti. Per chi non l’aveva mai visto, era un testo clamorosamente nuovo.

Leonardo Tonini (Castiglione delle Stiviere, 1974) poeta ed editore, ha scritto di Ungaretti, Deleuze, Pinter, Spinoza, Sloterdijk e altri. Ha pubblicato raccolte di racconti e poesie. Ha una passione per la Storia moderna e collabora a progetti internazionali. E' stato uno dei fondatori del Movimento Sannixista. Nel 2015 ha vinto il premio Virgilio Masciadri (Aarau, CH) per la promozione culturale.