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Intervista a Stefano Ghisleri

Il destino che bussa alla porta

Potresti presentarti per un pubblico svedese?

Sono Stefano Ghisleri e sono nato a Brescia nel 1985. Il mio percorso di studi ha sempre viaggiato

su due binari paralleli: gli studi tecnici da una parte, con la frequentazione di un istituto tecnico

come scuola superiore seguito della facoltà di ingegneria conclusa con una laurea magistrale nel

2013, e gli studi artistici dall’altra. La musica è entrata in me grazie all’impetuoso incipit della quinta sinfonia di Beethoven. Per me è stato “il destino che bussa alla porta”, come il compositore di Bonn disse riguardo alla sua sinfonia più celebre. Da allora ho iniziato lo studio di pianoforte che mi ha portato a diplomarmi con il massimo dei voti nel 2009 sotto la guida del M° Alberto Ranucci. In questo periodo mi dedico maggiormente alla composizione, che studio sotto la guida del M° Luca Tessadrelli, e alla presentazione al pubblico dei miei lavori. Non ho abbandonato gli studi tecnici: anche se ormai il tempo che dedico alla scienza è molto limitato, la insegno in diverse scuole.

Come hai deciso d’intraprendere la carriera di compositore?

Ho sempre avuto l’impulso a creare cose nuove. Già da ragazzino, avevo circa quattordici anni ed

ero ancora autodidatta, abbozzavo piccole composizioni per pianoforte. Parallelamente, con lo

studio di Dante alle scuole superiori ho iniziato anche a scrivere testi poetici nello stile del Poeta e

altre poesie. Ora che sono adulto il mio lavoro è diventato molto più sistematico, sia nella scrittura che nella

composizione: seguo dei corsi nei quali i docenti possono correggere i miei errori, darmi un

panorama contemporaneo sull’arte che trattano e trasmettermi la loro esperienza.

Negli ultimi due anni il mio lavoro di compositore è diventato più intenso e sono felice che sia il

pubblico sia la critica le abbiamo apprezzate molto. Hai scritto una suite su Strindberg puoi raccontarci un po’ sulla gestazione e

che cosa significa per te l’opera di Strindberg soprattutto quella pittorica?

L'idea di scrivere una suite ispirata ai quadri di August Strindberg è nata durante la mia visita al

museo di Losanna nell’ottobre del 2016. Ad accompagnarmi c'era Ulrich Suter, il quale aveva

organizzato il mio concerto del giorno seguente alla KKLB di Beromünster. Terminato di vedere la

mostra, espressi a Ulrich il mio grande interesse per un quadro in particolare, "La Ville", e gli dissi

che avrei potuto scrivere un pezzo ispirato alla tela. Osservati nuovamente i quadri della mostra, ci

venne l'idea che una suite sarebbe stata la forma ideale per rappresentare quella giornata dedicata

all'arte. Presi dall'entusiasmo, proponemmo l'esecuzione già in febbraio, ma gli impegni del Museo

impedirono l'inserimento di un concerto. Questo fu senza dubbio un bene: non sarebbe, infatti, stato possibile comporre un'intera suite in così breve tempo e si sarebbe corso il rischio di realizzare un lavoro non degno del soggetto. La suite vuole ripercorrere quel pomeriggio: l'ingresso al museo di Losanna, con la sua maestosa facciata e i passi dei presenti che picchiettano sul pavimento sono rappresentati nel primo brano. Il primo quadro è Mer Tempetueuse. Bouée-balai, nel quale compare il "tema della tempesta" che pervade tutta la composizione. Seguono poi De l'eau, quasi un omaggio a Debussy, e Glace sur le rivage, che formano quasi un quadro unico contenendo uno i temi dell’altro. Il punto di massima emotività arriva con Une fille aux yeux bleus regard Le Premier berceau de l'enfant. Segue poi Fleur sur le rivage, di andamento molto più limpido e sereno rispetto al precedente. L’ultimo quadro scelto è La Ville, che contiene in sé la visione di una città lontana e irraggiungibile contesa tra un mare in tempesta e un cielo in bufera. Il brano finale, che richiama direttamente quell d'apertura, rappresenta l'uscita dal museo, e mescola le impressioni, e quindi i temi musicali, di tutti i brani precedenti. La composizione va vista come un unicum: ognuno dei brani ha un'influenza su quello successivo, con l'ultimo a chiudere in maniera circolare l'opera.

  • Dei quadri di Strindberg mi ha colpito molto la forza comunicativa. In alcuni di essi ci sono dei tratti estremamente violenti, alcuni trasmettono una solitudine infinita, altri hanno una piacevolezza quasi infantile. In un certo senso, l’arte pittorica di Strindberg mi ha ricordato quella compositiva di Beethoven. Leggendo poi alcuni testi del poeta svedese e la sua biografia, ho trovato delle affinità tra il suo pensiero e il mio. Strindberg scrive: Io cerco la verità nell'arte della fotografia, così intensamentecome la cerco in molti altri campi; anch’io cerco, attraverso l’arte e la scienza, qualcosa di vero, bensapendo che non esiste una verità ultima.

    Come lavori quando devi comporre un‘opera?

    Devo ammettere che è molto difficile rispondere a questa domanda In generale la cosa principale è quella di trovare un Tema musicale (che può essere anche un inciso

    molto breve) e cercare tutte le variazioni che si possono trovare su di esso. Ne studio quindi le

    versioni inverse (intervalli musicali invertiti), cerco di capire se è un Tema adatto per dei

    contrappunti particolari, quali tipi di accompagnamento possono, quali “armonie” lo arricchiscono (ho scritto armonie tra virgolette perché la musica che scrivo è principalmente atonale, ma è per rendere l’idea).Di fondamentale importanza per me è la struttura sia dell’intera composizione sia dei brani che la costituiscono. Solitamente le composizioni che mi vengono chieste hanno un limite di durata; quindi, matita alla mano, calcolo ti tempi che devono avere i vari movimenti e quindi il numero approssimativo di battute.

    Ricerco poi un’unità interna nell’opera: elementi che ritornano, richiami “armonici” e sonorità

    simili. Sono anche molto attento al pubblico: la musica è un’arte che deve trasmettere un messaggio a qualcuno, non a caso suoniamo in un teatro, quindi alla parte più introspettiva e di ricerca innovativa che compongo cerco sempre di controbilanciare con una scrittura che possa risultare interessante anche per uno spettatore che non sia un addetto ai lavori.

    Viviamo in un’epoca dove il digitale entra sempre di più nella nostra vita come pensi che

    questo possa influenzare la nostra percezione della musica ?

    Ogni nuova tecnologia può portare buoni o cattivi frutti in base all’uso che ne facciamo. Il digitale permette di avere la musica sempre con sé. La cosa più importante, però, è che il pubblico rimanga interessato alle esecuzioni dal vivo e alle proposte dei nuovi compositori.

    Purtroppo la pigrizia ci porta ad ascoltare la musica a casa seduti sul divano. Certe volte questo può essere un bene: alcuni lavori hanno bisogno di contemplazione, di solitudine addirittura, per essere apprezzati (in particolare penso ai compositori antichi le cui sonorità erano dedicate alla spiritualità e non ai concerti); tuttavia bisogna tenere bene a mente che l’andare a sentire un concerto (che tecnicamente non sarà mai come una registrazione in studio) va vissuto come un momento di condivisione: c’è un artista che vuole comunicarci qualcosa e la stessa presenza di altre persone che ricevono il messaggio è a sua volta una condivisione.

    All’inizio dell’epoca romantica quando era attivo Beethoven alcuni critici trovavano il suono

    del forte piano troppo freddo; secondo te come ci si deve rapportare sul digitale e che

    possibilità dà e toglie alla musica. In linea del tutto generale, e in ogni campo della cultura, un’innovazione porta un certo dissenso. Ogni volta che al mondo si è presentato qualcosa di nuovo qualcuno ha sempre affermato che era meglio prima, ma in realtà tutto è solo una questione di abitudine. Gli artisti sono più attenti a queste novità poiché il loro fine è sviluppare idee in modi nuovi. Naturalmente non è possibile occuparti di tutte le novità; ogni artista sceglie la strada che trova più congeniale e cerca di creare qualcosa di nuovo in quella via. Credo che ogni artista, ma anche ogni persona in generale, debba sempre tenere a mente quanto scritto una volta da John Cage: “Non riesco a capire per quale motivo la gente tema le nuove idee. Io ho paura di quelle vecchie”. Quello che per noi è nuovo, per i nostri figli sarà la normalità, mentre per i nostri nipoti sarà soltanto una vecchia usanza da guardare con un sorriso di compassione. Non è questione di giusto os bagliato, è inevitabile.

    Puoi raccontare del tuo lavoro in Svizzera?

    Il mio lavoro in collaborazione con la Svizzera è iniziato nel 2015 quando mi è stata commissionata la composizione di un piccolo brano per clavicordo. In quell’occasione ho presentato il Canone inverso perpetuo sulle cifre di π, un lavoro contrappuntistico che utilizza due voci di cui la seconda suona in maniera inversa rispetto alla prima e il cui finale coincide con l’inizio cosicché è possibile eseguirlo infinite volte. Inoltre, lo spartito era avvolto su una sfera, oggetto geometricamente finito ma illimitato.

    Questo lavoro è piaciuto moltissimo sia all’organizzatore, Ulrich Suter, che all’esecutore, HansruediZeder. Sono nate così nuove collaborazioni che hanno portato al mio primo lavoro di ampio respiro: la Strindberg Suite.Successivamente ho composto la Suite Platonica, che mi è valsa il Premio Masciadri nel 2018 e il primo lavoro per strumento solista accompagnato, ovvero il Concertino per clavicembalo e archi presentato al festival di musica di Hochdorf che la critica ha molto apprezzato. La collaborazione con la Svizzera sta continuando: ho appena terminato la Turner Sonatina che sarà presentata in prima assoluta il 29 novembre a Londra.

    I tuoi prossimi progetti ?

    Sono ansioso di ricominciare a scrivere testi: gli impegni musicali dell’ultimo periodo, oltre a quellid’insegnante, mi hanno tenuto lontano dall’attività letteraria. Con il nuovo anno ho intensione di iniziare a scrivere il mio primo romanzo. Riprenderò quindi il corso di scrittura creativa con il mio maestro Heiko Caimi.Sul lato musicale voglio concentrarmi sullo studio del contrappunto e della fuga e voglio aumentare la mia conoscenza dei grandi maestri antichi, in particolare Monteverdi. Sono in fase diorganizzazione concerti con in programma mie composizioni in diverse città europee, eseguite da me ma anche da altri, e mi è stato chiesto di comporre musiche da camera. Spero inoltre di poter collaborare con un regista, in modo da poter accostare mia musica a delle immagini per una fusione tra le due arti